Papa Francesco in una recente intervista ha evocato il cardinal Federigo, personaggio dei “Promessi Sposi”, come un “eroe di quella peste a Milano”, ricordandone anche le contraddizioni. La citazione del papa mi ha fatto pensare alla vicenda della processione narrata da Manzoni, una narrazione accattivante e attenta agli aspetti sociali e spirituali, che può addolcire la clausura forzata che stiamo vivendo, e che riassumo, a sostegno di qualche riflessione.
Il consiglio dei decurioni, di fronte all’espandersi della peste del 1630 a Milano, dopo aver chiesto aiuti di ogni tipo al governatore e al re, si rivolge all’arcivescovo Federigo Borromeo e invoca una processione contro l’epidemia.
Il cardinal Federigo – cugino di quel san Carlo che aveva affrontato la peste milanese del 1576-1577 – non vuole la processione. Gli pare infatti un tentativo di piegare la volontà divina, trasformando la devozione in superstizione. Più che una occasione propizia per gli untori, “se pur c’era di questi untori”, Federigo teme che radunare la folla “non poteva che spander sempre più il contagio”. Si oppone dunque, cerca di convincere i decurioni, ma alla fine “cedette, acconsentì che si facesse la processione”. Né il tribunale della sanità né nessun altro fa opposizione, dopo tre giorni di preparativi la processione solenne – con in testa il corpo di san Carlo dentro una cassa di cristallo, al suo fianco il cardinal Federigo e subito dietro il clero, i magistrati, i nobili e il popolo – attraversa tutti i quartieri della città e sosta ad ogni piazza o crocicchio, davanti a tutti i crocifissi fatti istallare da san Carlo durante la pestilenza precedente.
Il giorno successivo alla processione “le morti crebbero, in ogni classe, in ogni parte della città, in tal eccesso, con un salto così subitaneo che non ci fu chi non ne vedesse la causa, o l’occasione, nella processione medesima”. Ma subito si preferisce dimenticare gli effetti della “infinita moltiplicazione dei contatti fortuiti”, attribuendoli agli untori.
Avevo riletto i capitoli che Manzoni dedica all’epidemia del 1629-1630 alcune settimane fa, nei primi giorni del divieto governativo a funzioni religiose che radunino molte persone – accolto da tutte le grandi religioni presenti in Italia in nome del bene pubblico – e ai funerali religiosi e civili. Alcuni giorni fa c’è stata invece la proposta del leader leghista Matteo Salvini, fatta non so bene a che titolo, di consentire le celebrazioni pasquali con presenza di popolo. Nel mentre l’epidemia di coronavirus ha continuato a diffondersi, mietere vittime e mandare in tilt il sistema sanitario.
Personalmente ero rimasta perplessa circa il blocco delle cerimonie religiose e soprattutto dei funerali; anzi è stato proprio il pensiero di chi moriva da solo, lontano dagli affetti e senza un saluto pubblico di familiari e amici, a farmi percepire per la prima volta la gravità della situazione. Appena c’è stato il divieto formale di uscire mi sono chiusa in casa e organizzata in tal senso, ma so per certo nel mio cuore che quando è morta, non per coronavirus, una persona a me carissima e compagna di strada negli snodi della mia vita, se fosse stato facoltativo e non vietato, sarei andata a salutarla. Ho anche letto di un focolaio scoppiato,- quando ancora non c’era in quella zona il divieto formale per i riti collettivi – dopo un raduno di preghiera di una comunità di cattolici: è stata criticata la comunità e anche la Cei, e tra i critici di quest’ultima c’erano anche quelli che la avevano precedentemente criticata per aver ceduto al “diktat” governativo vietando le cerimonie religiose.
Questi pochi esempi, e su un’unica, particolare questione, per sottolineare che in queste settimane si è detto di tutto su tutto, e si continua a dire di tutto, sui social e nei media, e non sempre chi parla è competente o semplicemente ha voce in capitolo per ruolo istituzionale.
Ognuno ha le sue difficoltà, la sua storia, e reagisce a modo suo alla pandemia, ma è chiaro che all’inizio non sapevamo bene che fare né avevamo capito molto di quella che veniva presentata come “poco più che un’influenza”. Le scelte a tutti i livelli e l’evolversi degli eventi hanno patito di questa iniziale ignoranza e confusione.
Tornando a Manzoni, – passione dichiarata di questo papa e segno di quanto sia forte la sua radice italiana, – ho apprezzato anche come cronista le sue pagine sulla peste, (che risultano tra le meno consunte della edizione scolastica dei miei figli), e ho ammirato la descrizione precisa di fatti, problemi, atteggiamenti e decisioni non così lontani da quanto stiamo vivendo oggi. Da alcuni giorni inoltre ho cominciato, con gran diletto, a rileggere i “Promessi Sposi” , rilettura propiziata dalla pandemia, ma che asseconda un desiderio coltivato da tempo. Ho già ritrovato il pavido don Abbondio, l’impetuoso fra’ Cristoforo, la sventurata Gertrude. Non sono l’unica ad esser tornata alle pagine manzoniane sulla peste nei giorni del Covid-19, e provo un sentimento di vicinanza con i tanti che lo hanno fatto, amici, conoscenti, sconosciuti, ma tutti vicini in modo speciale in queste settimane.
© 2019 Giovanna Chirri