Ecco il testo dell’intervista che la collega Eliana Quattrini mi ha fatto a proposito de “I coccodrilli di Ratzinger”, nella edizione digitale del quadrimestrale “La Casana”. Ringrazio Eliana e il periodico, edito a Genova dalla Banca Carige. Buona lettura.
Per riuscire nell’impresa occorrevano tre requisiti fondamentali: essere presenti a un Concistoro dedicato ai martiri di Otranto, appuntamento di scarso appeal mediatico che nascondeva un evento epocale; capire il latino; interpretare riferimenti, segnali, toni, espressioni notando le anomalie insinuate all’interno del cerimoniale. Così, da sola, Giovanna ha capito che stava accadendo qualcosa di imprevedibile e ha lanciato la notizia prima dell’annuncio ufficiale del Vaticano, prima dell’agenzia Reuters, di El Arabiya, France Press, Telegraph, Bbc, Sky News. Il risultato professionale è stato oggetto di numerosi articoli ma oggi, a distanza di anni, è utile rovesciare il cannocchiale per soffermarsi su un altro aspetto di questa vicenda: proprio mentre festeggiava una delle sue massime affermazioni, il giornalismo stava cambiando. A questa mutazione Chirri ha dedicato il libro I coccodrilli di Ratzinger, pubblicato in forma di e-book sulla piattaforma Kobo (euro 4,99).
Cosa sono i coccodrilli di Ratzinger?
In gergo si definiscono “coccodrilli” gli articoli biografici sui personaggi importanti, pronti per essere usati in caso di morte. I papi hanno un ruolo mondiale, sono capi di Stato con influenze sul mondo politico, culturale, religioso internazionale. Le implicazioni sono tantissime. Di fatto, più coccodrilli sono pronti a disposizione, meglio è. Per Wojtyla, che ha regnato 27 anni, all’Ansa ne avevamo una settantina e quando li abbiamo diffusi sono stati utili a moltissime testate italiane e straniere. Per Ratzinger trentacinque, di cui dieci miei.
Li avete usati in occasione delle dimissioni?
È quello che ho proposto al caporedattore nel pomeriggio di quella giornata concitata, drammatica, in cui avevo dovuto gestire una responsabilità enorme. Mi ha detto di sì, ma a quel punto abbiamo scoperto che erano spariti. Nonostante si dovessero custodire con tutte le precauzioni possibili, erano andati persi. Inconcepibile. Non c’era stata nessuna cura, nessuna consapevolezza tanti colleghi e della sua importanza. Io avevo le mie bozze e qualcosa ho rimediato. Ma proprio quel giorno, se ne avessi avuto il tempo, avrei capito che il mondo del giornalismo come lo ho vissuto in trent’anni di lavoro all’Ansa, stava scomparendo.
Per lasciare posto a cosa?
A un processo di corruzione sociale che investe anche i giornalisti. La tecnologia con la diffusione delle testate on line poteva essere una grande occasione. Ma la mutazione epocale introdotta dalla tecnologia informatica avrebbe avuto bisogno di persone in grado di gestire il cambiamento, invece il cambiamento alla fine ci ha travolto e l’assenza di una visione complessiva ha prodotto molti errori. La diffusione delle testate digitali gratuite ha condotto alla schiavitù della velocità, spesso a discapito di verifiche e controlli indispensabili. Se non si torna al merito, all’onestà, alle regole professionali di base, il giornalismo è perduto. Giornali e telegiornali sono vittime della dittatura dei social, di cui viene fatto un uso divisivo attraverso lo sfruttamento di ondate emotive suscitate ad arte. Eppure è chiaro che un messaggio su Facebook, Twitter, Instagram limita fortemente il contraddittorio. L’attività parlamentare non può essere meno importante dei monologhi in streaming dei politici e l’informazione non si può rifondare a partire dai social.
A cosa serve il giornalismo?
A informare su ciò che di rilevante accade, per consentire alle persone di trovare soluzioni ai problemi, maturare un’opinione, eventualmente anche un orientamento politico. È alla base dell’equilibrio democratico perché fornisce gli strumenti al formarsi dell’opinione pubblica.
Cosa occorre tenere presente?
Che la realtà è complicata. Fingere che tutto sia semplice è una delle maggiori astuzie del potere. Per capire quello che accade occorre seguire i fatti, frequentare gli ambienti di riferimento anche quando non sembra rilevante, osservare e valutare. Ci devi essere. Bisogna tornare alla cronaca giorno per giorno, andare per strada. C’è un prima e c’è un dopo. Se non segui non capisci e non servi più a niente. Ogni ambiente è un mondo difficile da decodificare. Se non fossi stata sempre presente, se non avessi seguito centinaia e centinaia di funzioni, se non avessi quotidianamente applicato alcune piccole regole del giornalismo come me lo hanno insegnato e antiche regole di vita, non mi sarei mai accorta che Ratzinger si stava dimettendo. Io seguivo tutto. È stata una gran fatica, anche una noia mortale, ma non ho mai pensato che fosse inutile. Il mio scoop in fondo è stato solo un racconto. Ero lì, ho ascoltato e ho fatto le verifiche. Ma sono stata testimone di un fatto storico. Questo è stato eccezionale, il resto è la una conferma di avere svolto un buon lavoro in tutti questi anni.
Quali sono le regole fondamentali da osservare?
Il giornalista è soprattutto un testimone che osserva e poi racconta. Sono poche semplici regole. Le cinque “W” del giornalismo anglosassone, cioè chi, cosa, quando, dove e perché. La capacità di fare un passo indietro: la notizia sta sempre davanti, il giornalista viene molto, molto dopo. Conoscere gli argomenti trattati, ragionare in autonomia, essere onesti, avere un’apertura mentale verso la realtà che consenta di ridurre al minimo il rischio di pregiudizi. Incontrare più persone possibili al di fuori del mondo del giornalismo, per raccogliere punti di vista diversi. Fare lavoro di squadra, invece purtroppo vedo prevalere l’individualismo e il narcisismo in un’informazione sempre più urlata, sensazionalistica, spesso segnata da letture ideologiche preconfezionate. Convincersi che il giornalismo ha una funzione sociale e necessita di grande senso di responsabilità.
Scrive papa minuscolo.
Ogni testata prevede norme di scrittura cui uniformarsi. Poi ci sono le regole dell’italiano. Io ho sempre saputo che papa va scritto minuscolo se è seguito dal nome proprio, maiuscolo se è una parola sola: papa Francesco o il Papa. Non pretendo sia questo l’unico modo corretto. La lingua si evolve e si affermano consuetudini diverse. Ma spesso l’uso delle maiuscole corrisponde a un atteggiamento ideologico.
Che rapporto c’è tra il lavoro di vaticanista e le convinzioni religiose?
Nessuno. Davanti a un Papa io sono una giornalista, mai una fedele. Sono sempre stata molto attenta a questa distinzione. All’Ansa mi ha assunta Sergio Lepri quando la faccia di un direttore non era nota al grande pubblico. Per strada non lo avrebbe riconosciuto nessuno. Ti mandava i notiziari corretti in rosso e blu. Leggeva tutto. Ricordo bene quando mi ha chiamata nel suo ufficio, uno dei primi giorni di lavoro, per dirmi che non sapeva quale fosse il mio orientamento politico e non avrebbe mai voluto scoprirlo leggendo i miei scritti. Ho sempre avuto ben presente questa indicazione, rispettando in toto la posizione di laicità della testata. Ne ho anche pagato il prezzo. Per quanto riguarda la mia vita privata sono stata battezzata, cresimata, allevata in una famiglia cattolica, sono ritornata alla fede con consapevolezza durante l’adolescenza e ora mi dichiaro profondamente credente. Ma so di essere un povero cristiano e so di avere lavorato per una testata laica. Sono stata educata fin da piccola alla frase “pensa con la tua testa”, anche quando a 6 anni mi hanno mandato a scuola dalle suore, giusto per un anno prima di proseguire nella scuola pubblica.
Ha dedicato il libro a Maurizio Di Giacomo. Chi è?
Maurizio non è mai riuscito a superare la soglia del pubblicista né ad avere un contratto a tempo determinato, nonostante determinato, nonostante fosse circondato da stima ampia e tanti cronisti attingessero a lui come fonte affidabile. Aveva un aspetto trasandato, ha avuto una vita difficile e finiva per essere schivato. Ma era serio e generoso, molto colto. Ha avuto diverse collaborazioni, scritto qualche libro. È morto nel 2008, solo come ha vissuto la sua professione, con pochissime persone al funerale. Era un buon italiano, uno che camminava tantissimo e si è consumato le scarpe a cercare notizie. Non era un individualista. Io, che alla fine passo per essere una giornalista affermata, quando ho scritto I coccodrilli di Ratzinger ho pensato a
lui, che in Vaticano era un personaggio.
I suoi figli sono giornalisti?
Nessuno dei miei figli ha espresso il desiderio di diventare giornalista. Io cerco di insegnare loro un approccio critico alle cose e i loro amici ogni tanti mi chiedono come possono informarsi correttamente. Rispondo di leggere gli articoli che parlano di argomenti noti per valutarne la correttezza e riunire così riferimenti affidabili fra i professionisti e le testate.
Come sfuggire al narcisismo sempre più diffuso sui social?
I giornalisti devono essere carichi di personalità, ma non devono essere autocentrati. Se l’autoaffermazione diventa più importante della funzione pubblica che dobbiamo svolgere, il rischio è svuotare di senso una professione.
Perché questo libro è uscito solo in ebook?
L’ho finito nel marzo del 2017 e tenuto nel cassetto per due anni. Trovare un editore è difficile. Volevo pubblicarlo ma non sapevo come. Finché un giorno una persona mi ha consigliato di non aspettare oltre e prendere la strada più semplice e libera dell’ebook. Così ho fatto.
Altri libri in programma?
Scrivere mi piace, è uno sfogo e i miei venticinque lettori sono entusiasti. Da quando non lavoro più all’Ansa ho aperto il blog “Vaticanista sul filo”, dove pubblico le mie cronache. Mi piacerebbe scrivere un libro sulle mie radici. Sono di razza meticcia, nata a Roma, ma di origini sarde, liguri e toscane. Vorrei riflettere sull’identità e su cosa abbia significato nella mia famiglia il mescolarsi delle culture.
© 2019 Giovanna Chirri