C’è una riflessione di estremo interesse circa il rapporto tra governo, potere e comunicazione nella Chiesa nel libro che padre Federico Lombardi dedica a “Papi, Vaticano, comunicazione”, (180 pagine, edizioni Ancora). E’ la riflessione più stimolante di un libro che ne ha molte riguardo tre papi e il ruolo del portavoce, attraverso circa quaranta anni di comunicazione vaticana. C’è un bel racconto degli anni in cui la Radiovaticana è stata affidata alla Compagnia di Gesù, dalla nascita fino alla confluenza del 2016 nel sistema multimediale “VaticanNews”. Non mancano informazioni importanti, come la nota inviata a papa Benedetto, a partire dalla cui diffusione il portavoce cominciò a sospettare che la “gola profonda” che passava documenti riservati al giornalista Gianluigi Nuzzi fosse il maggiordomo Paolo Gabriele. E non mancano racconti divertenti, come l’acquisto di oltre un chilometro di nuovi cavi per l’efficienza del Centro televisivo vaticano (Ctv) in occasione della morte di Wojtyla, o le domande più astruse negli interminabili briefing per la stampa mondiale dopo le “dimissioni” di Ratzinger. Quella di Lombardi è una vita dedicata alla informazione, prima alla Civiltà cattolica, poi in Vaticano, alla Radio, al Ctv, come portavoce di Ratzinger e Bergoglio, e oggi presidente della Fondazione Ratzinger.
Riguardo comunicazione e potere, dunque, scrive : “Il rapporto tra governo e comunicazione” “va continuamente costruito e ricostruito contro posizioni e atteggiamenti che diffidano della comunicazione o la vedono come una sottrazione del potere di controllo sulle situazioni e sulle relazioni”. Lombardi fa questa osservazione a proposito dei meriti di Joaquin Navarro Valls, suo predecessore come portavoce dei papi, e la conferma con la propria esperienza: “posso testimoniare che il servizio che mi fu prospettato dai Superiori” “non corrispondeva se non in minima parte alla realtà” “con cui avrei dovuto fare i conti e misurarmi ogni giorno”. “In particolare – spiega – mancava generalmente la consapevolezza del rapporto molto stretto, vorrei dire dell’intreccio continuo tra governo e comunicazione, nel senso che l’efficacia di una linea di governo sia nel campo disciplinare o organizzativo, sia in quello pastorale, dipende inevitabilmente dalla sua comunicazione”. Il padre gesuita non cita esempi concreti, ma il pensiero di chi legge va alla crisi degli abusi del clero durante il pontificato di Ratzinger, particolarmente intorno al 2010, o al caso Williamson. Lombardi potrà confermare o smentire, o allargare il campo di questi episodi, che vengono alla mente ai giornalisti che in quei frangenti seguivano il Vaticano. “Le decisioni – afferma ancora il presidente della Fondazione Ratzinger – non possono essere concepite oggi indipendentemente dalla loro comunicazione. L’attenzione alla comunicazione deve far parte fin dall’inizio di una linea di governo e tanto più di un magistero che voglia essere efficace e lungimirante”. A proposito della “cultura della trasparenza” e dell’impegno di Benedetto XVI per la verità nei casi di abusi del clero, Lombardi ricorda: “Ho capito che questo ha un prezzo, che può essere di grande sofferenza”. E ancora: “Dobbiamo essere più attenti alla verità che alla ‘cura dell’immagine’. Riconoscere la verità, diventare sempre più trasparenti nei suoi confronti e portarne il peso anche quando è doloroso, è l’unica via da seguire nella comunicazione”. “In questo campo – rimarca Lombardi sempre a proposito di governo e comunicazione nella Chiesa – la mia esperienza non è stata sempre del tutto felice”. Non fa esempi, ma segnala che “a volte si paga il prezzo dell’impreparazione”, mentre cita come un periodo positivo quello della presenza in Segreteria di Stato di un ‘advisor’ per la comunicazione in stretto contatto con la Sala stampa. Un momento sereno pur nelle ore drammatiche risulta, nel racconto di padre Federico, quello delle “dimissioni” di Ratzinger: aveva avuto la notizia soltanto poche ore prima della sua pubblicazione ma, racconta, “ero tranquillo, avevo tutto ciò che serviva”, e cioè il testo della dichiarazione del pontefice, l’articolo del diritto canonico sulla rinuncia dei papi, e quanto Ratzinger aveva detto al giornalista tedesco Peter Seewald nel libro intervista “Luce del mondo”. Personalmente ben ricordo come la sua tranquillità in quei frangenti cruciali sia stata di vero sostegno.
Contro il cliché del portavoce che sa sempre tutto, Lombardi riferisce anche di un paio di casi in cui non colse subito la portata di affermazioni del papa latinoamericano: il discorso del cardinale Bergoglio nelle Congregazioni pre-conclave – “non mi sembrava un ‘discorso della corona’ per poi essere eletto papa”, “non gli attribuii una importanza straordinaria”, “ricordo che i cardinali lo ascoltarono con una particolare attenzione, più di quanto io mi sarei immaginato in quel momento”, “poi capii… che quel messaggio avrebbe caratterizzato tutta la Chiesa universale nei nostri anni”. Secondo caso: la “cultura dell’incontro”: “ricordo – scrive – che all’inizio del pontificato… ho pensato: dobbiamo incontrare, manco male, cosa c’è di nuovo?, invece poi, man mano…mi sono detto: no, no, è proprio importante…”. Una sincerità così distante da quanti dicono di aver saputo o capito sempre tutto, comodamente accomodati nella manica del papa, o del potere di turno.
L’autore narra fatti, contenuti, interpretazioni e osservazioni sui tre papi, utilissimi per chiunque sia interessato al mondo vaticano e alla storia contemporanea del pontificato. Ma data la sua esperienza non comune, sono i rari e sobri accenni più personali a interessare chi vuole comprendere il mondo vaticano non superficialmente né banalmente. A quanto accennato circa la difficoltà a raccordare i comunicatori con i governanti e circa la sofferenza talora richiesta dalla verità, aggiungerei due episodi: la reazione del giovane Lombardi alla sua destinazione come scrittore della Civiltà cattolica, e i suoi sentimenti di fronte alla Notificazione della Congregazione per la dottrina della fede contro il teologo gesuita Jon Sobrino. “Quando i miei Superiori mi destinarono a lavorare nella redazione della ‘Civiltà cattolica” (ordinato da poco, reduce da apostolato tra i giovani e tra gli emigrati italiani in Germania), “naturalmente obbedii, ma mi parve che si trattasse di una deviazione rispetto a ciò per cui primariamente ero stato chiamato alla vita religiosa e al sacerdozio. Ci misi molti anni a trovare una piena unità interiore tra la mia identità religiosa e l’attività ‘professionale’ di comunicazione a cui ero stato destinato e in cui avrei dovuto passare la gran parte della mia vita. Alla fine penso di esserci quasi riuscito”. Federico Lombardi e Jon Sobrino, – teologo scampato per caso, nel 1989 nell’Università Centramericana di San Salvador, al massacro di sei gesuiti, una domestica e la figliola di questa – erano stati compagni di studi teologici a Francoforte tra il ’69 e il ’73. Quando nel 2007 arrivò la Notificazione “ovviamente l’ammonizione mi addolorò molto”, spiega Lombardi, aggiungendo che però il suo compito come portavoce “era quello di spiegare positivamente i motivi degli interventi delle autorità vaticane”. Ne venne fuori una Nota sulla Radiovaticana, riprodotta nel libro, e di cui è raccomandata la lettura per comprendere la vicenda ma soprattutto i sentimenti di Lombardi. Delle sue Note, comunque, si sente anche oggi la mancanza.
Ulteriore motivo di interesse del libro, dunque, è nella umanità dell’autore che va colta nella trama del racconto. Egli commenta di aver sempre pensato che il proprio servizio fosse “eccezionalmente bello e privilegiato”, perché “al servizio di una comunicazione positiva, in massima parte di messaggi di amore, di speranza, di solidarietà, di dignità delle persone, di crescita umana, di perdono, di pace…E anche quando si trattava di moniti, di messe in guardia da rischi, di condanne dure di crimini e ingiustizie, ciò era sempre invariabilmente per il bene di tutti. Che cosa di più grande e bello potevo desiderare di fare?”. Probabilmente senza le difficoltà o le sofferenze solo accennate questa bellezza risulterebbe meno vera, senza i tratti di umanità il comunicatore sarebbe meno autentico, e meno credibile il suo lavoro. Una consolazione e uno stimolo per qualsiasi comunicatore, non solo vaticano.
© 2019 Giovanna Chirri