Latinoamericano e impregnato della cultura della Evangelii nuntiandi di Paolo VI, nei primi tempi del pontificato Jorge Mario Bergoglio citava praticamente mai il Concilio Vaticano II. E questo benché la sua esortazione apostolica “Evangelii gaudium”, una sorta di manifesto programmatico, sia profondamente radicata nel grande evento ecclesiale del Novecento. Così con l’elezione di Bergoglio otto anni fa, risultò chiaro che mentre noi in Italia e in Europa avevano passato gli anni postconciliari a dividerci nella interpretazione del Concilio, in America Latina lo avevano semplicemente interiorizzato. E che il primo papa a non aver partecipato alle assise vaticane ne incarnava tuttavia la teologia, la pastorale, la spiritualità. Con il passare degli anni papa Bergoglio, pur avendo canonizzato Roncalli e Montini, i due papi che hanno fatto il Concilio, ha continuato a citare poco il Vaticano II e soprattutto a non entrare nelle polemiche sull’ermeneutica di questo.
Rompe questa impostazione quanto papa Francesco scrive nella prefazione a “Fraternità, segno dei tempi. Il magistero sociale di papa Francesco”, edito dalla Lev e scritto dal cardinale Michael Czerny e da don Christian Barone. Scrive dunque Bergoglio: “Nella storia dell’America Latina in cui sono stato immerso” “abbiamo respirato un clima ecclesiale che, con entusiasmo, ha assorbito e fatte proprie le intuizioni teologiche, ecclesiali e spirituali del Concilio e le ha inculturate e attuate. Per noi più giovani il Concilio diventò l’orizzonte del nostro credere” “ma non prendemmo l’abitudine di citare spesso i decreti conciliari” “semplicemente il Concilio era entrato nel nostro modo di essere cristiani e di essere Chiesa” non c’era tanto bisogno di citare i testi del Concilio”. “Oggi, diversi decenni dopo e in un clima ecclesiale profondamente cambiato”, rimarca il papa, “è necessario rendere più espliciti i concetti chiave del Concilio, Vaticano II, i fondamenti delle sue argomentazioni, il suo orizzonte teologico e pastorale, gli argomenti e il metodo che esso ha utilizzato”.
Si spiega così la lettura del magistero di papa Francesco fatta da Czerny e Barone e basata soprattutto sulla “Fratelli tutti”, l’enciclica di Bergoglio che ha da poco compiuto un anno. E le 262 pagine di testo – chiare, argomentate e accattivanti – agevolano la lettura della enciclica di Bergoglio che, riassumendo e riproponendo il suo magistero – risulta meno scorrevole dei precedenti grandi documenti bergogliani. E’ necessario ricordare che papa Francesco aveva sottolineato l’importanza del Concilio anche in una lettera ai vescovi dello scorso luglio, spiegando i motivi che lo hanno spinto a imporre restrizioni alla celebrazione della messa in latino. Nella lettera si diceva “addolorato che l’uso strumentale del ‘Missale Romanum’ del 1962 sia spesso caratterizzato da un rifiuto non solo della riforma liturgica, ma dello stesso Concilio Vaticano II”, accusato, “con espressioni infondate e insostenibili, di aver tradito la Tradizione e la ‘vera Chiesa’”.
Il tema del rapporto di continuità creativa con la Tradizione è esplicito anche nel libro di Czerny e Barone, che a partire dalla “Fratelli tutti” descrive un magistero “animato da una precisa logica intrinseca” ma “segnato dalla continuità con l’insegnamento ufficiale della Chiesa, soprattutto nella ripresa del metodo induttivo proposto dal Concilio Vaticano II”. Bergoglio, sempre nella prefazione, spiega che “la fraternità, che è uno dei segni dei tempi che il Vaticano II porta alla luce, è ciò di cui ha molto bisogno il nostro mondo e la nostra Casa comune, nella quale siamo chiamati a vivere come fratelli e sorelle”; invita a “non neutralizzare la dimensione sociale della fede cristiana”; sottolinea il “metodo storico-teologico-pastorale” usato dal Concilio. In tale metodo “la storia è luogo della rivelazione di Dio, la teologia sviluppa gli orientamenti attraverso una riflessione e la pastorale li incarna nella prassi ecclesiale e sociale”.
Cernyz e Barone, basandosi sull’esame di diversi documenti conciliari, in particolare la Gaudium et Spes e la Dei Verbum e su testi del magistero sociale dei papi del Novecento, mostrano come “il magistero di Francesco sia caratterizzato da una ripresa del metodo induttivo introdotto dal Vaticano II, in continuità con l’insegnamento di san Giovanni XXIII e di san Paolo VI che ne furono i promotori. Mentre la continuità con i suoi immediati predecessori, san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, si può rilevare non sul piano del metodo, ma nelle sottolineature di alcune tematiche e degli orizzonti verso cui orientare il futuro della Chiesa”.
Per Bergoglio la Tradizione non può non avere una “indole progressiva”, il che implica una comprensione storica della fede e l’apporto del “sensus fidei fidelium”. Per il metodo induttivo inoltre hanno senso le categorie di ‘popolo di Dio’ e di ‘segni dei tempi’, e lo strumento del discernimento. L’apporto singolare di papa Francesco alla Traditio ecclesiale, espresso nella “Fratelli tutti”, intende “guardare alla fraternità come a una realtà dinamica e aperta “, in un “percorso di annuncio e di trasmissione del Vangelo”. “La trasmissione della fede cioè non è più pensabile esclusivamente nei termini di un agire ‘informativo’, è questione di ‘stile’ relazionale”.
Ecco che la Tradizione così concepita diventa risposta alle critiche dei tradizionalisti a papa Francesco e la riflessione si fa pratica ecclesiale.
© 2019 Giovanna Chirri